lunedì 19 dicembre 2011

Una finestra sul mondo

racconto di SANDRA CARRESI 

Eva era una donna di cinquantacinque anni, piccola e graziosa, qualcuno l’aveva anche definita “buffa” e forse aveva ragione. Le piaceva il computer, iscrivendosi ad un corso, si era appassionata, lo aveva completato, qualcosa aveva imparato e si era comprata un bel portatile. Da allora le si era aperto il Mondo.
Piazzato in un angolo della casa, il freddo oggetto metallico era sempre acceso e naturalmente su Internet.
Quando le sue conoscenze trovavano dei limiti, Eva correva dal suo freddo amico e …come per incanto: la soluzione!
Arrivò Natale. Eva estese l’invito a pranzo a tutte le amiche “sole”. Non le piaceva andare al ristorante il giorno di Natale. La casa, la sua almeno, era sicuramente più calda, accogliente e con gli immancabili addobbi natalizi, quindi organizzò un bel pranzo di Natale, anche se, per la verità, una gran cuoca non era, ma con Internet, seguendo bene le istruzioni, avrebbe sicuramente superato se stessa.
Le lasagne al forno erano il suo piatto di battaglia, il bollito era un cibo frequente nella sua casa, come pure i crostini fantasia, poi, però era allettata dall’idea di un piatto di carne un po’ diverso e decise di cucinare il tacchino all’Americana e qui entrò in azione Internet.
Scoprì che gli americani, popolo con uno spiccato gusto all’agro-dolce, cucinavano il tacchino con le castagne e una volta cotto, veniva servito con la crema di castagne sparsa sopra. La cosa non le piacque, ed essendo Eva una donna dotata di fantasia, decise che al posto delle castagne l’imbottitura sarebbe stata ottima con i pistacchi ed i pinoli.
Acquistò un tacchino enorme, già aperto e pulito dal macellaio e nel pomeriggio avanti il giorno di Natale, la sua cucina la vide intenta a maneggiare l’enorme bestia con disinvoltura.
Seguì le regole dell’amico Internet, fece il soffritto e farcì con pancetta pinoli e pistacchi l’enorme interno del tacchino. Non fece attenzione però ai due fori, nel senso che mise l’imbottitura dalla parte aperta sul davanti e quando lo alzò per spostare la bestia, il ripieno uscì dalla parte posteriore. Quell’apertura non era stata considerata.
Eva non si perse d’animo, il ripieno era andato nel vassoio dove stava lavorando al suo piatto e quindi lo recuperò tutto. Ora però i due fori erano da sigillare. Eva provò, come da istruzioni, a cucirlo, ma  l’impresa risultò impossibile, allora come chiusura, lo sigillò con gli stecchini da spiedini e alla fine, complimentandosi con se stessa, pensò che da quella barriera non sarebbe passata neppure l’aria.
Dopo aver ben drogato il tacchino dall’esterno, lo mise in un grosso tegame e contemplò la sua opera.
La vista era veramente soddisfacente.
La sera tardi apparecchiò la tavola e stanca, ma soddisfatta, decise di andare a letto.
La notte ebbe incubi atroci. Sognò che il tacchino era fuggito, così steccato e col ripieno all’interno.
Poteva sentire le voci del vicinato: un tacchino grosso e strano correva per i marciapiedi! Madida di sudore, in piena notte si alzò ed andò a controllare in cucina. Tutto era a posto. Il poveretto non aveva neppure la testa, era più che morto, non avrebbe potuto andare da nessuna parte.
Al mattino la bestia conobbe il forno di Eva per ben tre lunghe ore.
Fu servito in tavola con patate arrosto e tutte le sue amiche le fecero i complimenti mangiando le pietanze con gusto.
Peccato che Eva non conobbe il sapore del tacchino: tagliò, servì, conversò, si mosse da vera ”padrona di casa”, ma non riuscì a mangiarne neanche un po’, fu però talmente abile che nessuna delle sue amiche se ne accorse.
E’ così, chi cucina, difficilmente poi mangia, ha già fatto il pieno assaporando tutto ai fornelli col grembiule davanti, digerendo poi il tutto con un goccio di soddisfazione e magari con lo sguardo rivolto all’”amico” sempre acceso…


SANDRA CARRESI 


lunedì 12 dicembre 2011

L'anima e il corpo

racconto di SANDRA CARRESI

Marco entrò dentro il Bar ed ordinò un caffè. Si sedette ad un tavolino, slacciò il secondo bottone della camicia, si tolse  la giacca ed attese il suo caffè. Era un uomo ancora giovane, brillante, dinamico, simpatico, e ben consapevole di possedere come alleate, tutte queste componenti. Era infatti molto socievole, o per meglio dire, questa era solo una parte del suo carattere. Non che fosse un uomo dalla doppia personalità, no tutt’altro, ma come molti comuni mortali, il suo temperamento possedeva più aspetti.
La gente che lo conosceva e che gli girava intorno, avrebbe potuto confermare sulla sua versione armoniosa, allegra, a volte addirittura chiassosa, ironica e ridanciana, ma Lui, non era solo così. Amava il silenzio, l’inverno, il vento, le giornate fredde, l’alba, il mare, ancora di più la montagna e le lunghe passeggiate, ma soprattutto, estraniarsi dal mondo, pensare, riflettere e ricordare. Amava tornare indietro nel tempo, alla sua casa di nascita, agli schiamazzi con i suoi fratelli, ai suoi genitori, alla scuola, a suo figlio, alla famiglia, e a tutta la sua vita trascorsa, fino ad arrivare al presente. Il futuro, beh, quello fa un po’ paura a tutti, meglio vivere giorno per giorno, ma non ne era molto convinto.
Improvvisamente una nebbia avvolse la sua testa appannandogli la vista, ne fu quasi spaventato e pensò:
- tutti questi caffè mi faranno male, prima o poi, oppure é questa primavera che come sempre mi abbassa la pressione, che guaio, sono già stanco di prima mattina. -
Aveva appena fatto questo pensiero, che improvvisamente, nella sedia accanto alla sua vide se stesso. Praticamente un gemello, solo più…, trasparente ed etereo.
Sbalordito, quasi temette di sentirsi male, volse lo sguardo intorno, ma con sorpresa, si accorse che la gente continuava a fare gli affari propri, sorseggiare caffè, bere, e nessuno prestava a Lui la minima attenzione. Allora, osò guardare la sedia e al suo sosia chiese con titubanza:
- chi sei? -
- come chi sono? Sono te. Non sarai per caso spaventato; lo so, lo so, non mi hai mai visto, ma mi avrai sentito, perdinci, dentro…, brontolo tanto…, impossibile non accorgersi della mia esistenza. Che cosa ci faccio qui seduto accanto a te? Eh, caro mio, sono uscito fuori, non ne potevo più di stare chiuso. Adesso anche il proprio io si ribella! Basta brontolare, ci vuole l’azione, ed eccomi qui. Non mi offrire niente, tanto non mi alimento con codesta roba io! Vedi che linea! Solo spirito ed il mio! Guarda, sarà bene, chiarirsi subito, non sono uscito per farti la predica; sono parte di te, per cui la predica non é da me. Voglio solo offrirti un po’ di compagnia, insomma, desidero farmi conoscere. Quando ti isoli, e ti incupisci, é con me che parli, é sempre a me che affidi i tuoi timori, le tue ansie, le gioie e le speranze, non mi puoi nascondere niente, io ti leggo da dentro ogni momento, persino le poche volte che cadi fra le braccia di Morfeo. -
- Ma allora, disse Marco, non ho proprio niente di mio, di intimo voglio dire! -
- Proprio non vuoi capire, sveglia! Siamo la stessa persona, e dovresti esserne felice, perché non tutti posseggono un’anima, c’é chi l’ha persa per sempre; io, beh, sono uscito oggi, perché avevo la sensazione che tu avessi bisogno di conferme e perché ti trovo speciale; ora dimentica subito questa parola e non montarti la testa, a volte sei a corto di umiltà, ma tutto sommato, dentro non sei male, quindi, adesso che lo sai, beviti questo caffè, e quando ti rabbui e te ne stai per giorni in silenzio, chiamami, ne parliamo, posso essere un’ottima compagnia. Ciao, adesso torno dentro. -
Marco, si scosse, guardò la sedia a fianco e la vide vuota. Il caldo, intanto era aumentato, il Bar affollato, e Lui, desiderò uscire prima possibile.
Sono intollerante al caldo, e la giornata é appena iniziata e…,
ma la piega della sua bocca abbozzò un sorriso; Lui non poteva vederlo, ma era il solito che aveva da ragazzo, ironico e canzonatorio, pensò:
- mamma mia che brontolone che sono, stamani ho pure fatto uscire la mia anima a ricordarmelo, in fondo, tutte le stagioni hanno la loro vita, come io ho la mia, anzi, sarebbe anche tempo che iniziassi il mio giro di lavoro, questa mattina! -
Affrettò il passo, e la sua alta figura si mescolò fra la gente, apparentemente tutta uguale, con l’anima e senza.


SANDRA CARRESI

domenica 4 dicembre 2011

La sirena del pescatore


Racconto di SANDRA CARRESI 

La pesca prometteva bene e così pure la nottata. Bella, vellutata, stellata e fasciata dalla luce fredda della luna che tonda e vanesia si specchiava nel mare le cui onde si muovevano increspate andando ad infrangersi fra gli scogli e procurando così un rumore a ritmi sempre uguali.
Sorrideva il pescatore immerso nei suoi pensieri vacanzieri, estivi, rilassato e rinfrescato dalla notte quieta.
Ad un tratto quel suono spumeggiante sempre uguale fu spezzato da un rumore forte e con un abile guizzo qualcosa di molto più ingombrante di un grosso pesce uscì dall’acqua ed andò a posarsi sullo scoglio accanto al pescatore.  Una creatura sorridente dai lunghi capelli tutti bagnati, scuri, ma dal corpo foggiato a forma di coda di pesce argentato e azzurro, salutò il pescatore nella sua lingua:
-Ciao, é parecchio che ti osservo, sei paziente, attento e al momento privo di sonno.-
Il pescatore, spalancò i suoi occhi dello stesso colore del buio, lasciò andare la canna e si portò le belle mani, affusolate, lunghe e magre alla testa. Non rispose al suo saluto era rimasto con la bocca aperta , magnetizzato da quegli occhi colore del mare di giorno che beh, in quel momento, francamente superavano la bellezza della luna e illuminavano il cielo, il mare e il pescatore.
Pescatore: – Ma chi sei, seducente ninfa dalla coda di pesce? Non puoi esistere, sei solo nella mia fantasia e nei miei sogni.-
Sirena: – Certo che esisto, sono una Sirena e vengo in superficie ogni notte che tu peschi, ti guardo e poi torno di sotto, non resisto molto sullo scoglio, come tu non resisteresti molto, neanche attrezzato, nei miei fondali marini. Stanotte ho deciso di farti visita, ti ho sentito anche cantare, che bella voce che hai…, sai fare tante cose, ogni tanto, non so perché, sei irritante e brontolone, ma conosco altri tuoi simili e non sono così luminosi come te.
Pescatore:- Potresti avvicinarti?  Sono ancora meravigliato, ti vorrei toccare, penso ancora di sognare, se lo racconto mi prenderanno per folle o ubriaco.-
Sirena:- Non hai bisogno di raccontarlo, io non esco mai a sedermi sugli scogli, mi rende affaticata, anzi presto dovrò tornare giù, ho bisogno del mare per vivere.-
Muovendo la coda con gran sciacquio, in un abile guizzo, il mare sembrò aprirsi e la sirena scomparve.
Il pescatore guardò il cielo e tutte le sue stelle e ad alta voce disse:
- Stasera mi avete fatto uno scherzo, mi avete trovato stanco e vi siete burlate di me. Non ne farò parola con mia moglie, direbbe che ho le visioni e si preoccuperebbe. Forse ho veramente sognato.-
Il Pescatore continuò la sua vita vacanziera e non ci pensò più, convinto di aver immaginato quella strana creatura. Pescava di giorno con l’arpione e pescava di notte sullo scoglio con la canna e ogni tanto osservava il mare con aria interrogativa pensando a quel mondo misterioso, sconosciuto e a tutti suoi abitanti.
E fu proprio in una notte di poco precedente la sua partenza che la Sirena uscì dall’acqua con un gran spumeggiare e con una mano arrivò a sfiorare la gamba nuda del pescatore e allegramente gli disse:
-Ciao, tornerai alla vita cittadina, ma ci vedremo quando sarai di nuovo su questo scoglio!-
Pescatore: – Aspetta, vorrei…, e si sbilanciò inciampando, lasciando cadere la canna in mare, ma le sue lunghe mani riuscirono a toccare i capelli della sirena, inciampò e si ritrovò a sedere sullo scoglio con in mano un bellissimo anemone di mare dal colore stupendo fra il giallo e il viola.-
I fiori sono bellissimi tutti, ma la loro vita é breve, nonostante le dovute attenzioni, eppure, quell’anemone di mare sopravvive intatto nella sua bellezza nel cassetto della scrivania del Pescatore, nutrendosi del suo sguardo e delle sue attenzioni quando ogni mattina in ufficio accende il computer, apre il cassetto e sorride, ma al sogno o alla sua nuova realtà? Questo lo può sapere solo il pescatore…

domenica 13 novembre 2011

Falsità e Amicizia

Racconto di SANDRA CARRESI

La Falsità dava in affitto le stanze ad ore. Era costretta a lavorare dopo aver sperperato tutto il patrimonio che una sua lontana parente le aveva lasciato, perché figlia unica e non maritata: la Dignità.

L’Arroganza era la frequentatrice più assidua di quelle stanze bellissime i cui balconi  si affacciavano tutti sul mare. Poi c’erano loro, le due gemelle, bruttine a dire il vero, con quel lungo naso e le gambe corte e storte: le Bugie.

Esse erano inseparabili, le trovavi ovunque come le zanzare d’estate, in ogni stanza; pensavi che se ne fossero andate e invece… comparivano in tutti gli angoli e la situazione era dubbia: o le stanze erano affollate da specchi, o loro si moltiplicavano, fatto sta che erano in due, ma sembravano dieci, cento, mille, e la cosa strana era che pagavano solo per due.

E poi c’era lei:Ipocrisia, dalla parvenza bellissima, sempre stesa a prendere il sole, abbronzatissima,  tacchi alti in qualsiasi situazione, però, a dire il vero, a vederla  da vicino, non era proprio così bella. Innanzi tutto il sole, al quale non piaceva affatto, le aveva regalato, sotto quella perfetta abbronzatura, un bel solco di rughe, e poi…, puzzava di miscuglio di creme e profumi che sotto il sole estivo e cocente, evidentemente si squamavano. Comunque, bella o no, di sicuro alla fine, rimaneva sempre da sola.

Quella tarda sera pioveva forte. Un temporale fine giugno, spaventoso. Il vento si era impegnato molto sbatacchiando gli alberi  e quelle povere barche sul molo, che da ore danzavano assieme alle onde, quando completamente bagnata e con le scarpe ormai andate, arrivò una fanciulla dalla bellezza e freschezza veramente rare: Amicizia.

Subito Falsità  si preoccupò di darle una stanza e le raccomandò di fare una doccia calda per evitare di prendersi un malanno, ma già con occhio esperto ed attento aveva fotografato le linee perfette del corpo, che notevoli, si rivelavano attraverso i vestiti bagnati e incollati addosso.

Le bugie si avvicinarono preoccupate e si offrirono di aiutarla nell’asciugatura dei capelli, ma sapevano bene che la corrente elettrica ancora non era tornata.

Ipocrisia disse che non aveva mai visto una fanciulla così bella ed elegante in quell’albergo e si dichiarò pronta a cederle la sua camera se non ce ne fossero state di libere e adatte alla sua  persona, ma sapeva benissimo, che a parte le presenti nominate, quel luogo dalle camere a ore, era del tutto disabitato.

Per cena, il vento prese a cessare, il mare si acquietò, il sole, un po’ scontroso prese ad uscire e come per incanto, il rombo di una macchina ruppe quel silenzio fino ad allora interrotto solo dal movimento delle posate e dei bicchieri, e scese Lui, dalla falcata lunga, decisa e allo stesso tempo delicata e sicura: Affetto.

Affetto entrò nella sala da pranzo, tutte le signore presenti, sorrisero, e con gli occhi lo invitarono, ognuna al proprio tavolo, ma Lui,  cercava solo chi non vedeva in quella grande stanza, poi
lo scricchiolio proveniente dalla scala, lo fece voltare di scatto, la vide, e subito le andò incontro: -          Ho fatto il possibile per venirti a prendere con la macchina, ma sono arrivato alla stazione con notevole ritardo e tu eri già andata via, tuttavia non mi rassegnavo, ho chiesto informazioni ed ho capito che non potevi essere che qui.-

Non ci fu nessuna risposta, Amicizia si era cambiata d’abito, tamponata i capelli con l’asciugamano e  ringraziando uscì con quel suo profumo naturale, sottobraccio ad Affetto.

Signore e signorine, rimasero davanti ad una tavola ricca di pietanze ormai fredde, e mai come in quel momento, sentirono forte la presenza sottile di: Invidia.

La falsità conosce molte fughe e sa nascondersi con abilità, l’amicizia, quella vera, rimane sempre al suo posto, anche se il farlo, dovesse comportare farsi un po’ male. 

venerdì 28 ottobre 2011

Ciao Elly

Racconto di SANDRA CARRESI


Ti ho conosciuta alla fine degli anni ‘70, eravamo nel medesimo ambiente di lavoro. Stravagante, particolare, bella, alta, magra, bionda e …due pezzetti di cielo al posto degli occhi. Vestivi con abiti dello stile di quel periodo, un po’ tipo “falso trasandato”, ma erano per te, anche se tu avresti indossato con eleganza qualsiasi “cencio” messo addosso. Avevi la personalità e il profumo dell’intellettuale, anche se la tua laurea in “Storia dell’Arte” era da sempre in un cassetto. Avevi una voce bellissima e spesso cantavi, riscuotendo ammirazione. Ti ricordo un agosto, appena tornata da lidi esotici dalle vacanze. Arrivasti in ufficio, dopo una pedalata in bicicletta, era caldo, il tuo corpo era completamente dorato, un paio di pantaloni ed una camicetta aperta e annodata sotto il seno. Ti fotografai con gli occhi e questa é una delle più belle immagini che ho di te.
A quel tempo ti occupavi di cultura e nel nostro ambiente ne fabbricavamo molta. Eri sposata con un americano, Peter, ma non avevi nessun figlio. Tua madre aveva creato una farfalla, ma la voleva solo per sé, così che spesso ti ho vista piangere per mediare questo rapporto che ti stava troppo stretto e da cui, per educazione ed amore, non osavi ribellarti più di tanto.
Poi il tuo amore per Peter si trasformò in affetto e ti innamorasti di un ‘altra persona, al punto che, negli anni ‘80, diventasti madre di una bellissima bambina ed iniziasti a vivere la tua storia da favola.
Cosa é successo dopo pochi anni, non lo conosco. So che la tua storia é finita, sei tornata a casa da tua madre, la tua testa é stata definita “inaffidabile”, la tua bambina ti é stata tolta e, molto piccola, é andata a vivere col padre. Tu la vedevi solo saltuariamente. Ti sei lamentata con me di questo fatto, poi, con gli anni, ho saputo che la tua unica compagna, fino all’altro giorno, é stata la bottiglia.
Anni addietro, ti ho telefonato e parlando con me al telefono, nel sentire la mia voce, mi hai detto?:
- Sei un fantasma?-
Eri sobria ed era un dopocena.
- Vengo dal presente –  ti ho risposto e tu mi hai detto:
- Non sono più quella di prima…-
Ti ho vista un giorno anche in strada. Tu non mi hai riconosciuta. Pioveva, camminavi attaccata ai muri. Ho pianto e sono andata via.
Voglio regalarti almeno questo abbraccio. Ho saputo che sei uscita da quel lussuoso palazzo sul Lungarno della nostra bella città e dall’ultimo piano dove abitavi nel più assoluto silenzio. Chi c’era, ha fatto molto silenzio, quasi fosse una vergogna  morire. Quando nel palazzo hanno saputo, era tardi, non c’era più tempo neanche per regalarti un fiore.
Io non riesco a liberarmi del passato, perché fa parte del mio “io”; non mi appartengono i sentimenti balneari, conosco solo sensazioni intense e forti e sono anche capace di soffrire molto. Fa parte della mia natura. Per questo ho voluto “abbracciarti così”, perché so che ti sarebbe piaciuto. 
Ciao Elly, ti lascio andare.

di SANDRA CARRESI

giovedì 20 ottobre 2011

Sotterranea distrazione

racconto di SANDRA CARRESI

Vania lavorava in pizzeria, faceva la cameriera, si guadagnava da vivere con questo lavoro, otto ore al giorno portando piatti ai tavoli, con antipasti, primi, pizza e dessert. Non era molto svelta nel servire i clienti, ma i conti, quelli sì, li sapeva fare bene e velocemente.

Era carina, snella, una brunetta con la coda di cavallo, naso dritto e magro e occhi color nocciola che la facevano sembrare un dolce cerbiatto.

Non le piaceva molto fare la cameriera, Lei era ragioniera e avrebbe voluto lavorare in un ufficio, magari in uno di quei grandi palazzi, dove gli impiegati scendendo a pranzo, venivano a consumare un piatto di pasta.

Una volta aveva lavorato in un Ufficio presso un commercialista, ma poi Lui si era trasferito altrove e Lei era rimasta senza lavoro, così si era dovuta accontentare di quello che le era capitato: un lavoro onesto, a contatto col pubblico, scarpe basse un grembiule davanti, i capelli raccolti e su e giù con i piatti fumanti.

Quel sabato sera la pizzeria era piena, per lo più ragazzi giovani e qualche coppia più matura. Tante chiacchiere, bottiglie di birra e lattine di coca cola.

Stava proprio servendo una coppia di quarantenni: Lui alto, magro, con tanti capelli ondulati e solo qualche filo d’argento ai lati, Lei, una donna morbida e mielosa, messa in piega fatta da poco, con ciuffo ben phonato, vestito da boutique color verde smeraldo come i suoi occhi che brillavano al solo guardarlo.

Vania ebbe un momento di fastidio, aveva problemi con la glicemia e troppo miele la faceva nauseare. Perfettamente professionale, prese le ordinazioni, sorrise e tolse la sua persona da quel tavolo velocemente.

Un senso di nausea l’assalì d’improvviso, ma determinata nel suo lavoro, fece finta di non farci caso e servì alla coppia la loro fumante pizza. Lui, preso dalla compagnia della “verdona” le aveva appena rivolto un sorriso distratto, ma quasi subito la richiamò:

-       “ Signorina, prego, con questi coltelli non è possibile tagliare la pizza, può portarci qualcosa che assomigli ad un coltello tagliente?”

-       “ Certo, rispose Vania, sorridendo ma infastidita e nauseata, arrivo subito.”

Vania voleva fare tutto velocemente, almeno per una volta, e mentre portava ancora due piatti fumanti di spaghetti all’astice, teneva i due coltelli con la punta rivolta in alto, ma il destino volle che appena arrivata al tavolo della coppia, inciampasse arrovesciando gli spaghetti in terra e drammaticamente uno dei due coltelli andò a centrare la parte alta dietro il collo di quell’uomo giovane e bello.

La candita camicia si macchiò immediatamente di sangue, Lui accasciò la sua testa sul tavolo senza un lamento, mentre la donna gridava disperata. Nella frazione di un attimo nella sala ci fu un gran baccano: la gente si era alzata, urlava, Vania piangeva con le mani al volto. Il proprietario chiamò immediatamente l’ambulanza, ma per l’uomo non ci fu  più niente da fare e quando arrivarono i soccorsi era già morto: centrata la vena del collo, un lavoro che solo un chirurgo avrebbe potuto fare con tale precisione.

Nei giorni che seguirono Vania rimase a disposizione della polizia. Di lavorare non se ne parlava, e poi, chissà se avrebbero ancora avuto bisogno di Lei.
Era stata una disgrazia, d’accordo, ma chi l’avrebbe nuovamente assunta?

Passò un po’ di tempo, Vania si guadagnava da vivere facendo le pulizie negli appartamenti, sbarcando così il lunario, sempre più triste e afflitta.

Poi un giorno, sentì bussare alla stanza che aveva preso in affitto; era la proprietaria che con aria preoccupata, le annunciò la presenza della polizia.

Le fecero molte domande, Lei all’inizio era smarrita ed i suoi occhi da cerbiatta facevano pena a tutti, poi, a mano a mano che la matassa si ingigantiva, soprattutto quando il Commissario le fece notare che Lei, quando in altri tempi, era bionda e con i capelli a caschetto era stata alle dipendenze dell’uomo morto in pizzeria, Vania diventò abile, aggressiva ed i suoi occhi color nocciola, assomigliavano sempre più a quelli di un puma dentro una gabbia.

Diceva che non lo aveva riconosciuto, che era cambiato, che stava lavorando e che non aveva tempo né voglia di osservare i volti dei clienti, ma il commissario era sospettoso e le disse chiaramente che per Lui questo era un omicidio e non una disgrazia.

Ma come poteva una ragazza così semplice, dolce, lavoratrice, avere la mente di una assassina? Poi, la precisione di quel coltello …, era da attribuire ad un chirurgo o …ad un esperto.

Ce l’aveva quasi fatta Vania e stava preparando le valige per andarsene e dimenticare, sì, dimenticare quell’amore grande per quell’uomo che non l’aveva neanche riconosciuta…, era bastato un colore e un taglio di capelli diverso per annullarla completamente. Aveva avuto quello che si era meritato. Sapeva che frequentava quella pizzeria e si sarebbe fatta assumere anche venendo a patti col diavolo.

Le donne abbandonate, soprattutto senza una motivazione chiara, quando sono innamorate possono essere capaci di tutto.

Peccato che il Commissario, non avesse mai creduto alla sua innocenza, e che in ultimis, avesse scoperto il lavoro di anni della madre presso un Circo familiare  dopo che il marito, il padre di Vania l’aveva lasciata con una bimba di appena due anni,  trovando in quell’ambiente, conforto, protezione e amicizia,  facendo la “donna”  del lanciatore di coltelli. Vania, aveva sempre respirato la confidenza delle armi bianche, tanto da rimanerne affascinata; era stato proprio lo Zingaro Milock, che parlando col Commissario, rammaricandosi dell’assenza di Vania da anni, gli aveva raccontato di come all’epoca, la piccola,  avesse recepito bene l’arte di saperli lanciare alla perfezione….

Impara l’arte e mettila da parte, dice un antico proverbio.
Vania lo aveva fatto.

giovedì 13 ottobre 2011

La casa delle ragazze

racconto di SANDRA CARRESI



Era un rito.
Tutte le domeniche pomeriggio le ragazze si ritrovavano dopo una settimana forse noiosa e poco movimentata. Poi, addirittura, l’ultima domenica del mese, quando i negozi rimanevano aperti, pranzavano tutte assieme.

Angela metteva la sua casa a disposizione. Abitavano tutte nello stesso rione, ma il suo appartamento era centrale o forse Lei era quella più disponibile a fare da “padrona di casa”, con la sua abitazione a pianterreno:  pochissime scale, niente ascensore, una spaziosa cucina tinello, accogliente, soleggiata e la tavola rotonda per l’evento della domenica.

Facevano la loro partita a burraco e si divertivano, ma quando il sole invernale non faceva il prezioso e usciva, alle ragazze piaceva gironzolare ed osservare le belle vetrine e magari spettegolare e inorridire sui prezzi troppo alti.

Angela non faceva mai mancare loro il te con i biscottini, era una piccola pausa e il pretesto per spettegolare sugli avvenimenti della settimana.

Saltare il rito domenicale era raro e quando ciò accadeva era sempre per motivi di salute, semplicemente perché le ragazze avevano ottant’anni o qualcuno in più, come appunto mia madre.

Poi passavo io, la sera alle 19, con la mia Panda e facevo da taxi. Quando entravo le vedevo raggianti e divertite, qualche volta qualcuna protestava per la disattenzione della compagna di gioco alle carte  ed avevano un’aria indispettita, ma buffa.

Tutte vestite alla moda, la cipria sulle guance, il rossetto alle labbra, e l’immancabile Chanel.

Gli acciacchi dell’età e altri cattivi acquisti, erano in abbondanza e sempre in aumento, ma la voglia di vivere quella partita  che non si limitava solo al “burraco”, andava oltre all’alzata mattutina, alle medicine, alla colazione  e se lo specchio rimandava un’immagine che non soddisfaceva, c’era sempre  la possibilità di barare con quelle armi che solo le donne sanno usare, oltre il tempo, con la volontà di vivere e di piacersi ancora.

Adoro chiamarle “ ragazze”, e ancora continuo ad andare a prenderle la domenica sera, e mi si riempie il cuore quando le sento ironizzare sulla loro difficoltà ad entrare ed uscire dalla mia Panda, ma percepisco quell’ allegria che non è poi così lontana da quella di una ragazzina alle sue prime uscite domenicali; in fondo è solo una questione motoria, ma è pur sempre: Vita.

giovedì 6 ottobre 2011

Laila

Racconto di SANDRA CARRESI

Laila era nata più di mezzo secolo fa,  in un paesino della bella Sicilia, in un corpo di maschio che non gli era mai appartenuto.
Non ci aveva messo molto a capire che avrebbe voluto essere come le sue quattro sorelle più grandi e senza neanche tanti problemi aveva manifestato il suo stato d’animo in famiglia.

La famiglia è quel nucleo dove si può parlare apertamente, si può manifestare i disagi, le gioie da condividere, dove la soluzione al problema si cerca di risolverla, ci si arrabbia, si prendono le sfuriate, ma si ragiona e si cercano soluzioni in maniera unita; se non si raggiungono, cosa probabile, in genere si ribadisce il proprio pensiero ma si accetta rispettando la decisione altrui.

Sicuramente attraverso più di mezzo secolo i passi avanti verso la cultura, l’istruzione, la crescita sociale e il benessere, immaginario o reale, a secondo dei punti di vista, sono stati notevoli rispetto a quando Laila se ne andò da casa a sedici anni dopo tante botte, tribolazioni e senza che nessuno dei suoi familiari più stretti la fermasse, o che provasse a consegnarle un futuro migliore.

Giunse a Milano da una zia materna, con vedute più generose che si prese cura di Lei tanto da metterla in contatto con la USL e dietro regolari controlli, Laila, maggiorenne, realizzò il suo sogno:  con un intervento ben riuscito  fu Laila per tutti. Un corpo ben  modellato, una camminata tipicamente femminile; unica stonatura forse, le mani: piccole ma tipicamente maschili.

Poi, in seguito, dopo la morte della zia, Laila dovette venir via da Milano; non aveva un lavoro suo, era molto giovane e non ne conosco né la storia, né il motivo, ma venne a Firenze, le fu assegnata una casa popolare, ebbe la compagnia di un cagnolino grazioso: Frullino e iniziò a frequentare l’area per cani proprio di fronte alla sua casa, ed è lì che l’ho conosciuta, portando fuori il mio Benny per la passeggiata pomeridiana.

Lei faceva i turni presso un’impresa di pulizie, il lavoro, anche se precario, le dava dignità e la faceva sentire bene.

Poi,  l’impresa chiuse e Laila si trovò senza lavoro, come tante altre persone nel nostro Paese, colpite purtroppo dalla crisi economica.

Certo, durante gli anni della sua vita, avrebbe potuto evolversi non solo nel fisico, ma anche intellettualmente, magari facendo dei corsi serali organizzati dai comuni, prendere un diploma, imparare un mestiere che le permettesse di trovare un lavoro più ricercato, ma era vissuta sempre facendo lavori nel campo delle pulizie senza mai avere un contratto sicuro e a lungo termine. Adesso sono tempi difficili per tutti, ma mettendo a disposizione la sua testa, la sua intelligenza nei giovani anni della sua vita, forse qualcosa di migliore e positivo per la sua esistenza poteva realizzarlo anche se poteva contare solamente su se stessa e al massimo su qualche persona  all’interno delle strutture sociali.

Recentemente era proprio dietro la struttura delle USL che riusciva a guadagnare qualche soldino quando la chiamavano per un qualsiasi lavoretto tipo le pulizie all’interno delle scuole, ma solo saltuariamente. Da qui depressione, malinconia e tristezza.

L’ho incontrata sull’autobus di recente e mi ha appunto aggiornata sulle sue vicissitudini: quest’inverno, non ancora terminato, è stato veramente freddo visto che i termosifoni della sua casa non sono stati mai accesi per risparmiare. Un letto con parecchie coperte e un abbigliamento da sub per affrontare un frigorifero di casa e persino Frullino, sul suo tappeto, dormiva volentieri con una coperta addosso, nonostante la sua pelliccia naturale. Fortunatamente le venivano incontro per il pagamento dell’affitto di casa, comprendendo la situazione e sapendo aspettare. Di recente si era guastata pure la televisione e grazie alla generosità di un’amica, aveva ricevuto in regalo un suo apparecchio televisivo piccolo ma ben funzionante. Per non parlare del motorino, regolarmente pagato nei tempi” d’oro”, che se ne stava coperto e immobile nel cortile comune della sua abitazione perché privo di assicurazione.

Mi raccontava queste tristezze con dignità e con un sorriso dolce, quasi a voler scacciare le malinconie che la deprimevano, e quando è scesa, prima di me dall’autobus, sono rimasta seduta e pensante a guardare la strada che conosco a memoria, visto che mi porta al mio ufficio. Ho immaginato il freddo di quella casa dove Laila e Frullino si facevano compagnia con la loro intesa affettiva, ed ho pensato a me, al mio lavoro, alla mia pensione visto che col 2010 farò quarant’anni lavorativi. Ho riflettuto a quanto sia importante e indispensabile un’occupazione retribuita, alle mie lotte negli anni indietro per il mio diritto al lavoro, facendo coincidere il tutto con la famiglia, alla  stanchezza di certe sere, alle tonsilliti di mio figlio, ai miei disagi di salute, e ad oggi che sono al capolinea lavorativo, a questa fase della mia vita che sta concludendo degnamente, e sono amareggiata per Laila che ha risolto il suo problema più gravoso della sua personalità, ma ha tralasciato forse, per non aver avuto la possibilità, la volontà, o per mancanza di incoraggiamento o incalzamento da qualcuno a Lei affettivamente vicino, di effettuare quel percorso lavorativo migliorativo con il quale poi, si accede allo strumento principale che manovra la vita, a quel timone che porta a navigare la nave anche attraverso le bufere, a ciò che abbiamo sempre difeso e preteso, che forse non a tutti dà il benessere ma col quale si raggiunge l’autonomia per onorare i nostri impegni, ed avere una vita decorosa per noi stessi e la famiglia: il lavoro.

giovedì 29 settembre 2011

Lo chignon

Poesia di SANDRA CARRESI


Ho raccolto i miei capelli
in uno chignon.

Ho aperto tutti i cassetti
della mia mente.

Ho fatto entrare la luce del sole.

A volte,
la penna da sola
non è sufficiente
per dipingere e raccontare
i colori, i pensieri,
i ricordi.

Ci vuole l’aria, il sole,
l’amore,
e una nuova pettinatura,
per respirare
eleganza ed essenza.

Dopo, può arrivare
anche il temporale.


martedì 20 settembre 2011

25 settembre 2011, reading poetico a Pozzo d'Adda (Milano)


Il mantello
racconto di Sandra Carresi


Stava per andare a letto. Un silenzio notturno avvolgeva la casa. Con la mano afferrò leggermente il lembo della coperta affinché il corpo stanco potesse giacere in quel letto solitario che odorava di bucato e che attendeva solo Lei. Ad un tratto, prima di entrare, sentì alle spalle un calore insolito, qualcosa di caldo e di soffice le coprì il corpo chiuso nella camicia di mussola. Dania non si rendeva conto che cosa potesse essere. Lo specchio, di fronte, le rimandava l’immagine di sempre, una donna ancora giovane, minuta, dai lineamenti dolci e delicati, stanca e spettinata.
Eppure quel calore le dava un’energia che cinque minuti prima non aveva; la cosa la spaventò. Se avesse dovuto descrivere che indumento fosse quello che sembrava cingerle le spalle, avrebbe potuto definirlo un mantello di soffice velluto, qualcosa di scuro, forse il nero, con un gran fiocco di raso che le stringeva la gola, quasi a farle mancare il respiro. Però era piacevole e le dava dei brividi che certo non erano di freddo ma assomigliavano molto a certi preliminari di un tempo forse non lontano, ma non più praticati, anzi, dimenticati. Con una scossa di spalle, finì di aprire il letto ed entrò tirando su le coperte quasi a coprirne la testa. Non voleva ricordare niente, adesso era solo uno strumento adatto solo al lavoro, fuori e dentro casa.
Dentro il letto, le cose peggiorarono o migliorarono, a seconda dei punti di vista. Il calore del mantello adesso l’avvolgeva tutta, dalla testa ai piedi, niente escluso. Pensò di prendere una pillola per dormire, tanto, l’indomani avrebbe potuto rimanere lì anche fino a mezzogiorno: niente lavoro. Non riuscì ad alzarsi, una forza sconosciuta la faceva rimanere immobile. A quel punto, si arrese. Restò immobile nel letto, e lasciò andare il suo corpo libero verso quel calore conosciuto, accantonato, mai dimenticato. Sognò, desiderò e amò. Il sole del mattino non vide il suo risveglio, scaldò un corpo ormai freddo.
Dissero tante cose. Che il suo volto era sereno, che se ne era andata nel sonno, che era nel suo letto con la camicia di mussola e trina e che l’unica cosa strana…, chissà perché, in una notte calda di metà maggio, dentro il letto, il suo corpo fosse avvolto, da un mantello di velluto nero, legato da un nastro di raso al collo, come un’antica dama pronta per un incontro galante col suo uomo, quell’uomo che aveva lasciato questa terra da ormai cinque anni.


SANDRA CARRESI
20-09-2011

mercoledì 14 settembre 2011

Ferragosto insanguinato
racconto di Sandra Carresi                                                 



Non era stata una bella estate. Il tempo, molto variabile, aveva stressato tutti i bagnanti di Marina di Castagneto. O meglio, tutti gli italiani. Al Nord, praticamente, l’estate non l’avevano mai vista, al centro, passavano dal caldo torrido alle piogge copiose e violente, al Sud, acqua e poche giornate di sole. L’estate del 2011, andava accettata così. Non si poteva ordinare niente di meglio. Ogni mattina Saverio, il bagnino dello stabilimento balneare “ L’Oleandro”, per via di quegli alberi piccoli ma dai fiori a grappolo rosa che costeggiavano il marciapiede che introduceva all’entrata della spiaggia, era intento a svolgere il suo lavoro: rastrellava la spiaggia, toglieva qualche carta, probabilmente notturna, e apriva gli ombrelloni, sempre che, Sua Maestà, Il Sole, si degnasse di uscire, altrimenti, se coperto dalle nebbie, ombroso e permaloso come sempre, gli ombrelloni rimanevano chiusi ed allora quel panorama di lunghe file di sdraio, lettini, e asciugamani, erano le uniche note colorate, assieme ai costumi da bagno, e gli schiamazzi dei bambini, unico suono alto che si univa al mare quasi sempre ricco di schiuma bianca per via dei cavalloni che s’infrangevano a riva trascinando via secchielli e palette. Ma quella mattina, era ferragosto, e Saverio alle sei del mattino di lunedì era già in spiaggia a sistemare. Guardò il cielo e lo trovò chiarissimo, pensò: «Stai a vedere che quest’anno l’estate arriva dopo Ferragosto, sì, oggi dovrebbe essere proprio una splendida giornata di sole». Poi, improvvisamente, dietro la barca di Arturo, uno dei clienti dello stabilimento balneare, un sei metri a venticinque cavalli, rossa fiammeggiante, vide due piedi e pensò: «Caspiterina, qualcuno stanotte ha frascheggiato sotto le stelle e ancora sta dormendo alla grossa». Si avvicinò, pronto a rimproverare, ma appena fu vicino alla presenza umana, di scatto si voltò dall’altra parte portandosi una mano alla bocca, quasi ad evitare il vomito, che tuttavia finì sulla sabbia.

Lo scenario non era dei migliori: un uomo, sembrava giovane, in costume da bagno a pantaloncino, dorso nudo, a pancia all’aria, con la gola aperta sicuramente da una lama, da parte a parte, gli occhi lividi spalancati. Il sangue lo aveva addosso sulle parti nude e sui pantaloncini, la sabbia era appena sporcata, le onde avevano probabilmente tolto il grosso, come stavano ripulendo il vomito di Saverio. Di sicuro, Saverio, non lo conosceva, o almeno così gli pareva; non si era soffermato più di tanto, per il grosso disagio che si era impadronito di lui. Il poveretto, dovette sedersi su quella barca rossa che sembrava essere proprio in tema con la scena. Non aveva mai visto un uomo morto “ammazzato”, perché se fosse stato un suicidio, riuscì appena a realizzare, ci sarebbe stata l’arma accanto. Invece non c’era niente. Solo il rumore del mare.
Saverio, si alzò dalla barca, e corse nella stanza dove c’era l’ufficio dello stabilimento e telefonò alla polizia. Poi si sedette sulla poltroncina di Monica, la giovane segreteria ed aspettò. Momenti interminabili, di spavento e agitazione e poi, iniziò a farsi tante domande. Di natura, Saverio, non era abituato a farsi i fatti suoi, ascoltava i pettegolezzi che gli venivano riferiti dai bagnanti, si teneva per sé quello che carpiva dai discorsi, conosceva tutte le belle signore nei loro splendidi costumi, i loro sorrisi, e forse, in qualcuna intuiva anche l’ insoddisfazione di un qualcosa che probabilmente inquietava. Donne che si facevano baciare dal sole ungendosi con creme solari cercando di rendere dorato e quindi più piacevole il proprio corpo. Donne grasse che si ostinavano a portare bikini ridotti compiaciute della loro siluette perché dimagrite di pochi kili. Uomini dallo stomaco ingrossato e deforme per il troppo cibo o per il troppo bere, ma anche giovani uomini compiaciuti del loro fisico se non addirittura fanatici della palestra. Generalmente erano tutte persone che frequentavano L’Oleandro da anni, gente che possedevano la casa al mare, clienti affezionati, o semplicemente abitudinari a quel punto di ristoro, per i primi piatti alle linguine allo scoglio, al riso di mare, cacciucco, alle insalate, e anche ai prezzi imbattibili per: qualità-prezzo. Conosceva persino i segreti dei giovani, i loro ammiccamenti e traeva le sue conclusioni quando al mattino, certe cabine non le trovava in ordine come le aveva lasciate la sera alla chiusura. Saverio era un uomo di quarant’anni, atletico e ottimo nuotatore. Lavorava da anni all’Oleandro da giugno a settembre, e nell’inverno aiutava suo padre nel negozio a Castagneto Carducci  di frutta e verdura di loro proprietà, la madre, sostituiva Saverio in negozio durante l’estate. Lui non era sposato, anzi, lo consideravano lo scapolo d’oro di Castagneto Carducci, ma intanto il  tempo scorreva veloce anche per lui.
La volante della polizia, anticipata dall’ambulanza, arrivò prestissimo e il primo a scendere fu il Commissario Sebastiano Guerra, uomo di oltre cinquant’anni, alto, grosso, e dal volto infastidito per la mancanza di sonno e per il negativo inizio della mattinata di ferragosto. Quello che diagnosticò a prima vista il Dottor Luigi Randazzi fu: omicidio con arma da taglio su giovane uomo dai trenta ai trentacinque anni.  Saverio, era rimasto impressionato e nella sua mente quelle parole ballavano ritmi veloci su una pista che era poi il suo cervello, mandandolo in tilt e incapace di svolgere, al momento, il suo abituale lavoro.

Ben presto la notizia rullò a tamburo, prima della stampa, sia a Marina di Castagneto che in quel di Castagneto Carducci, adorabile rocca storica, nel più bel  triangolo della verde  Toscana, culla della Maremma, luogo in cui nacque e trascorse la sua infanzia e gioventù il poeta Giosuè Carducci e dove si trova l’antico Castello dei conti della Gherardesca, antica famiglia di nobili Toscani, il cui nome è legato storicamente al tanto discusso Conte Ugolino, morto di fame in prigione nel 1289 e accusato, di essersi sfamato con i suoi stessi figli, imprigionati assieme lui.
Nel 2001 il Conte Gaddo della Gherardesca era stato al centro di pettegolezzi per la sua relazione con Sarah Ferguson, ex nuora di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra ma adesso, nell’agosto del 2011, c’era poco da spettegolare, un giovane uomo era stato ammazzato e abbandonato sulla spiaggia. Forse la sua agonia era stata lenta, le voci dicevano che era morto dissanguato. Il commissario Guerra aveva il suo bel d’affare…

                                 La ragazza incinta


Improvvisamente la porta dell’ufficio del commissario Guerra si spalancò dietro le proteste dell’appuntato di turno Placido Pista, che invano, aveva cercato di fermare una giovane donna che irruentemente era entrata con aggressività. Sebastiano Guerra, notò per prima cosa, l’evidente stato di gravidanza della donna, per questo, fece un cenno con la mano all’appuntato, come dire. “Va bene, lascia fare”. Non se ne intendeva di “pance”, sua moglie non aveva potuto renderlo padre, ma quella donna doveva essere quasi al termine della sua gravidanza. Pazientemente, le fece cenno di sedersi ed era pronto ad ascoltarla. Si chiamava Cinzia Rulli era di Cecina, ma abitava al momento, in una casa in affitto nella campagna di Castagneto Carducci, perché esponeva in una bancarella al mercatino sulla passeggiata di Marina di Castagneto Carducci,  tutte le sere, a prezzi modesti, la bigiotteria creata da lei, in rame ed acciaio.  Cercava il suo compagno, padre di quel figlio che avrebbe dovuto nascere a breve, visto che era entrata ormai nel nono mese.

Era visibilmente preoccupata e agitata. Si capiva che non era in questione una “scappatella” fuori programma. Tremava e sudava. Anche il commissario Guerra iniziò a preoccuparsi osservando bene quella giovane donna. Aveva l’aspetto di una ragazza neanche trentenne. Esile, a parte il pancione. Capelli biondi corti, occhi verde oliva e lineamenti delicati. Indossava pantaloni alla turca azzurri di cotone e una camicia senza maniche, leggera e larga, ai piedi calzava le infradito e notò che i suoi piedi era molto gonfi. Cercava l’uomo che amava: Hubert Bled e sorrise aggiungendo quasi con orgoglio, che il suo uomo portava proprio per cognome, il nome dell’omonimo lago. Lavorava in uno dei grandi complessi alberghieri di Porto Rose, alla Reception, ormai da cinque anni, e stava cercando di trovare un posto di lavoro per lei, dopo il parto, nella Life Body, mentre lei, già in possesso del diploma di estetista, si stava specializzando in un corso di ayurveda detox, programma per la disintossicazione del corpo, mente e spirito, indicato per chi avverte le conseguenze di un faticoso ritmo di vita. Sebastiano pensò: “ Forse questo sarebbe proprio il momento di mettere in pratica l’insegnamento appreso.” Ma tacque. La ragazza aveva addosso diversi monili: braccialetti a cerchio, e due collane, una corta e l’altra molto lunga. Il commissario, giudicò che dovevano essere oggetti di sua produzione, di poco valore, ma molto graziosi. Lei aveva conosciuto Hubert in una vacanza proprio sul lago di Bled , si erano innamorati e lui, che aveva un buon posto di lavoro e un ottimo stipendio, veniva in Italia, a Cecina, accumulando i giorni liberi con i permessi e le ferie. Ma ora, con la nascita del bambino, la sua vicinanza era essenziale, mentre stava diventando sempre più difficile stare insieme per via della distanza geografica, ma i progetti a breve avrebbero preso forma, Hubert aveva messo da parte un bel gruzzolo per poter vivere assieme. Non poteva contare su nessuno in Slovenia, i suoi genitori erano morti, ma lui sapeva lavorare sodo e guadagnava, almeno così le diceva. Hubert, doveva arrivare in Italia già da due giorni, ma i suoi contatti telefonici si erano fermati da allora.  All’inizio, Cinzia, non era stata così preoccupata, perché Hubert, certe volte, per guadagnare, lavorava anche al Casinò, come croupier, e lì non poteva rispondere al cellulare, né tenerlo aperto, per questo a volte non le rispondeva. La ragazza, forse volontariamente, aveva omesso il nome del Casinò, questo pensava il commissario Guerra, quando per associazione di idee, rivide mentalmente quel corpo dietro la barca con la gola tagliata…
Sebastiano Guerra, tossicchiò leggermente e delicatamente, dopo di che disse alla ragazza, che sarebbe stato subito operativo, omettendo il cupo pensiero che gli attanagliava la mente: che il morto fosse proprio lo sconosciuto della spiaggia. Prima di salutare la ragazza, le chiese una foto dell’uomo e lei, forse ancora più emozionata ed agitata, trasse dalla borsa a sacco fatta con della stoffa colorata in viola con piccole farfalle bianche, un portafogli in pelle rosso, e da lì, tirò fuori una foto a colori che ritraeva lei e il giovane abbracciati in un ampio giardino. Il commissario stava ancora osservando la foto, quando la donna, piegandosi in due e sorreggendo la pancia esclamò: “ O mio Dio!”
Sebastiano Guerra osservò spaventato il viso piegato in una smorfia della ragazza e da lì, il suoi occhi si posarono sul pavimento: l’ampia pozza d’acqua, fece comprendere anche a lui, che di queste cose aveva poca esperienza, che alla donna le si erano rotte le acque. Seguì un turbinio di voci concitate ed alte, fu chiamata l’ambulanza e in brevissimo tempo, Cinzia fu trasportata all’ospedale, mentre Sebastiano, telefonò al Dott. Luigi Randazzi dicendogli che di lì a poco, sarebbe giunto da lui per conoscere le novità sulla morte ed aggiunse: “ Ho la foto di un uomo scomparso, la sua ragazza è incinta, forse sta già partorendo, ed era fino a pochi minuti fa, qui nel mio ufficio…”. Il commissario, uscendo, telefonò a sua moglie Vania, dicendole che forse avrebbe avuto bisogno di lei, o meglio, della sua sensibilità femminile, poi, si avviò a passo veloce alla sua macchina, e velocemente mise in moto la sua Alfa Romeo Mito di colore beige chiaro, nuova di zecca.


La svolta sull’omicidio

Sebastiano Guerra aveva sempre avuto un ottimo intuito, ma questa volta, quando infilò in quell’androne bianco-verde quasi gelato, sperò ardentemente di essersi sbagliato, ma appena vide l’uomo, nudo e ripulito, lo riconobbe prima ancora di tirare fuori la foto. Il suo primo pensiero fu alla ragazza, a come avrebbe fatto a dirle che del suo sogno felice, rimaneva solo un bimbo-a, senza padre? Poi, ritornò freddo e dopo aver scambiato un breve dialogo col Dottor Randazzi, tornò velocemente al suo ufficio e si mise al telefono contattando la polizia Slovena. La Slovenia, terra di sole, di laghi, di passeggiate in bici, di bagni nelle magnifiche piscine termali, di mare,  quel Mar Adriatico bellissimo e verde smeraldo là in quelle terre del regno della ex Jugoslavia, e lui, proprio quell’Huber che portava il cognome del lago Bled, era venuto a morire sul Mar Tirreno, in una spiaggia di Marina di Castagneto Carducci, interrompendo così bruscamente, il sogno di Cinzia, che lo aspettava per poter poi, una volta partorito, andare a vivere e a lavorare a Portorose. Invece lui, Huber, si trovava in un obitorio e lei, Cinzia, in sala parto. Il motivo sull’assassinio non fu poi un gran rompicapo per il commissario Guerra, che ebbe ovviamente, tutta la collaborazione della polizia Slovena, da cui venne a sapere che il povero Huber era sì persona che lavorava alla reception di un grande albergo, e come aveva detto Cinzia, si dava da fare anche  come croupier al Casinò King, ma recentemente, forse per  trovare una via più sbrigativa, giocava forte e spesso anche vincendo, al Casinò Royal nella vicina Croazia. Pare che avesse conosciuto gente nell’ambito del gioco poco rispettabile, che lo avessero avvicinato nelle sue facili vincite, promettendogli guadagni veloci,  ma con lavoro poco stimabile e serio, e che lui, in seguito, si fosse stancato rivolendo indietro la vita di prima, ma cercando di fregarli portandosi via soldi, che lui riteneva gli spettassero. Questo non era piaciuto e considerandolo uno sgarbo, lo avevano seguito e ammazzato tagliandoli la gola proprio quando lui era arrivato vicino alla sua Cinzia per dirle che il sogno era a un passo dalla sua realizzazione. Gli assassini erano tre e al momento ne avevano catturati solo due, il terzo era riuscito a scappare. La signora Vania, moglie del commissario Guerra, fu la prima, dietro suggerimento del marito, ad andare all’ospedale di Cecina, reparto maternità, da Cinzia, dopo di lei, in sala di attesa,  c’era il commissario e altri componenti della polizia italiana e slovena. Cinzia aveva dato alla luce, un po’ in anticipo, una bella bambina di tre kg., seppero poi che il nome, era  Lucia, e la signora Vania, le fu vicina con tutto l’affetto che non le fu affatto difficile trovare per sorreggerla quando, in seguito,  il commissario Guerra le spiegò, col miglior tatto che gli fu possibile, la morte di Hubert, omettendo per il momento, il modo in cui lui era stato ucciso. Ci sono tragedie nella vita, dalle quali sembra non potersi risollevare più, eppure, si trova in qualche modo la forza di rimanere a galla, soprattutto se si ha la responsabilità di un’altra giovane vita da portare avanti.  Fu così anche per Cinzia e la sua piccola Lucia, che tenacemente, forse grazie anche alla sua aggressività e al suo lavoro, fece tesoro delle sue piccole mani che sapevano abilmente confezionare gioielli in metallo, riscuotendo successo sulle vendite, probabilmente anche aiutata dalla gente del luogo che era a conoscenza di tutto l’iter,  riuscì a sopportare le spese economiche e la morte di Hubert.




 Poi…

La Signora Vania Guerra, cinquantenne, casalinga, moglie del Commissario Sebastiano Guerra, non aveva mai pensato di passeggiare sul lungomare di Marina di Castagneto Carducci guidando un passeggino, non essendo mai stata mamma, eppure in quella timida primavera di Aprile, dopo quell’agosto tragico che aveva sconvolto la vita di Cinzia e trovato la morte di Huber, sorrideva felice a quella splendida bambola sorridente e gaia.  Cinzia, aveva preso in affitto un piccolo negozio a Castagneto Carducci e lì confezionava ed esponeva i suoi monili artistici, e lei, la Signora Vania, si era offerta di guardarle la bimba, ma chiaramente si era istaurato con i coniugi Guerra un rapporto saldo d’affetto e di amicizia.  La vita va oltre a tutto, pensò la signora Lella, anche alla morte. E’ così che deve essere, ed aveva appena sorpassato il Bagno l’Oleandro.

SANDRA CARRESI

martedì 6 settembre 2011

Non calpestate le margherite
Racconto di SANDRA CARRESI

Era un sabato sera di fine maggio, caldo e stellato, quando Luca riaccompagnò a casa Letizia e fu proprio lì, quando Lei stava per salutarlo che dalla sua bocca, come un fiume gli uscirono queste parole:
-“Ti lascio Letizia, è l’ultima sera che usciamo insieme, ho incontrato un’altra donna, me ne sono innamorato, mi spiace…, ti ho amata lo sai, ma adesso è finita”.
Letizia, trentacinquenne, insegnante di lettere, aprì la portiera ed entrò dentro il portone di casa senza dire una parola.
Era vero che l’aveva amata molto ed erano fidanzati, senza convivere, da ben quindici anni. Luca, aveva quarant’ anni, era biologo e si era dedicato alla ricerca in Ospedale, mentre Lei insegnava lingua italiana e storia in un Istituto Superiore.
Avevano fatto mille progetti, rimandato la convivenza e il matrimonio sempre a causa di Lei che non era pronta…
Assieme avevano girato il Mondo, acquistato mobili che erano poi stati messi da una parte, tipo collezione, e forse questo rapporto era diventato “abitudine”, comunque, questa situazione, andava bene ad entrambi.
Appena entrata in casa, Letizia, pianse disperatamente e si maledì per non essersi accorta di alcun cambiamento nei suoi confronti da parte di Luca. Poi, ripensandoci, i cambiamenti c’erano stati, eccome, ma non recenti, anzi risalivano a molto tempo indietro. Lei aveva un carattere orgoglioso e un tantino strafottente, Lui, dotato di enorme pazienza, aveva poi finito con “il farsi gli affari suoi”.
Quando gli amici comuni seppero la notizia, rimasero increduli e iniziarono a dire:
-“Ah…, ecco perché quando Letizia era a cena con i colleghi, Lui era introvabile, sempre fuori con gli amici…, c’era un’altra….”
-“Sì però scusa, anche Lei, quando Luca le chiedeva di accompagnarlo, rispondeva sempre: ma vai da solo, no?”-
Quello che all’inizio poteva essere un atteggiamento di superiorità da parte di Lei , era diventato col tempo “una sua caratteristica o un modo di fare” nei confronti di chi c’è sempre”. Beh, adesso Luca non c’era più per Lei e se ne accorse ben presto.
Dalla sorella di Luca, con la quale Letizia era ancora in contatto seppe che la nuova donna era una giovane laureata in medicina, lavorava nello stesso Ospedale di Luca e si sarebbero sposati fra sei mesi, in Ottobre.
Questo stato di cose mandò Letizia in depressione, ma faticosamente, sia grazie alla scuola, che alla palestra, riuscì, almeno apparentemente, a portare avanti i suoi impegni con disinvoltura, non fosse stato altro, che per non essere compatita o criticata a causa del carattere che si ritrovava.
A Ottobre Luca sposò Giordana. Bellissima donna, dalle caratteristiche fisiche completamente diverse rispetto a Letizia: altissima, magra, capelli corvini lunghi e lisci, occhi neri e dolci come il miele.
Qualcuno, degli amici più intimi di Letizia, all’epoca in cui erano una coppia, soleva dire:
-“Ma dai…, rilassati, scendi dalla cattedra, non sei in classe, siamo noi, i tuoi amici…”
Il suo viso, molto probabilmente per timidezza, era sempre severo, pronto alla difesa, e i suoi occhi, di un verde acqua marina, erano spesso sbarrati sulla frase di quel qualcuno che l’aveva pronunciata, lasciando a quella persona il dubbio di aver sbagliato qualcosa.
Gli sposi andarono a vivere nell’appartamento di Luca e tre anni d’amore ruzzolarono veloci senza che Luca cercasse notizie di Letizia che invece era rimasta in amicizia con la ex cognata, Marta, sentendola di tanto in tanto.
Col tempo, nasceva in Luca sempre più l’esigenza di un figlio, mentre per Giordana c’era tempo. Questo punto diventò a mano a mano una vera e propria ossessione, tanto che Luca diventò geloso; iniziò a controllare  la moglie in Ospedale, osservandola nel suo rapporto con i colleghi, sui rientri a casa, sul cellulare, e in breve tempo la loro unione diventò bufera. Giordana cercava di tranquillizzarlo, anche se, con questo sconosciuto e nuovo comportamento del marito, del tutto inaspettato, di un figlio, proprio non se ne parlava…
Era di nuovo maggio di alcuni anni dopo la famosa sera, al tempo in cui Luca aveva lasciato Letizia, ma tarda mattinata, cielo chiarissimo, bella giornata di sole, quando il telefono di Letizia squillò. Lei, ascoltò la voce rotta dai singhiozzi di Marta e  all’inizio non capì niente, poi comprese la tragedia: nella notte Luca aveva ucciso Giordana soffocandola col cuscino e poi…si era sparato, alla tempia….
Li avevano trovati in quel letto, luogo di passione e di grande amore.
Sangue e disordine. Lunghi capelli neri sparpagliati in un viso bellissimo dagli occhi sbarrati nel vuoto.
E’ difficile capire la testa umana, così come è difficoltoso ascoltare l’animo in qualche modo ferito. Lui, era sempre stato un uomo buono, paziente e disponibile, questo è ciò che conservava di Luca la testa di Letizia, Lei aveva sofferto più di quanto Lui avesse potuto immaginare, e in tutti questi anni, Luca, non aveva chiesto neppure a Marta, notizie di colei che aveva condiviso con Lui quindici anni di vita;  si era innamorato di un’altra donna, Le aveva donato  tutto il suo amore e  ne aveva ricevuto sicuramente altrettanto, poi…qualcosa era scattato, di grave, tanto da chiudere la partita della vita in maniera drammatica, lasciando intorno dolore atroce da gestire a chi rimane.
E’ facile calpestare le margherite, basta camminare in un bel prato verde, correre, giocare, scherzare, stendersi e lasciarsi sopraffare dall’insano possesso di un’altra vita, a volte anche non solo fisicamente, creando così danno a quella terra, diventata ormai, sgualcita e morta.


SANDRA CARRESI